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2 ottobre 2018 Corte costituzionale: illegittimo l’indennizzo previsto dal job act
Area Normativa

Corte costituzionale: illegittimo l’indennizzo previsto dal job act

La Corte Costituzionale, con un comunicato del 26 settembre 2018, fa sapere di aver dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015 (noto come “Job Act”) sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte in cui determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore per il licenziamento dichiarato illegittimo.

Com'è noto, l’art. 3 comma 1 del decreto in esame, lega il calcolo dell’indennizzo per il licenziamento illegittimo all'anzianità di servizio del lavoratore, stabilendo un importo minimo e massimo (di recente modificato dal “Decreto Dignità” - Dl 87/2018) e differenziando l’indennizzo a seconda che il datore di lavoro abbia alle proprie dipendenze più o meno di 15 lavoratori.

Attualmente, dopo la recente modifica apportata dal Decreto Dignità, gli assunti dal il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento illegittimo, hanno diritto a due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36 mensilità, se l’azienda occupa più di 15 dipendenti. Mentre hanno diritto ad una mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 3 e un massimo di 6 per le aziende che occupano fino a 15 dipendenti.

Secondo la Corte Costituzionale la previsione “di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”.

La Suprema Corte fa sapere attraverso il comunicato, che il testo completo della sentenza verrà depositato nelle prossime settimane.

Tuttavia, com'è facilmente immaginabile, questa notizia apre non pochi interrogativi.

In particolare la sentenza di incostituzionalità produce effetti anche sui giudizi pendenti e sulle cause già decise in primo grado per le quali le parti potrebbero decidere il ricorso in Appello.

Fino al deposito delle motivazioni della sentenza, la strada scelta dai magistrati potrebbe essere in via cautelativa quella del rinvio delle cause, nell'attesa di recepire gli indirizzi della Consulta.

Rimane in ogni caso auspicabile un rapido intervento da parte del Legislatore al fine di evitare un clima di incertezza.