Recentemente alcune note aziende italiane, operanti nel settore dell’alta moda, sono state sottoposte a provvedimenti di amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, in quanto ritenute responsabili di aver colposamente agevolato l’attività dei titolari di imprese appaltatrici e sub-appaltatrici, sottoposte ad indagini condotte dalla Procura milanese per il reato di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, punito dall’art. 603 bis c.p..
La condotta agevolatrice, contestata alle aziende di moda italiane, sarebbe consistita nell’aver omesso di adottare le misure necessarie alla verifica delle reali capacità tecniche delle imprese terze alle quali esse avevano affidato la produzione dei capi di abbigliamento, risultate prive di un adeguato e strutturato compartimento produttivo.
Infatti, le aziende appaltatrici avevano a loro volta esternalizzato la realizzazione dell’intera linea di abbigliamento ad opifici tessili di nazionalità cinese presso i quali era stata reclutata manodopera clandestina, impiegata in condizioni di sfruttamento, in violazione altresì della normativa vigente in merito al rispetto degli orari di lavori e dei periodi di riposo dei lavoratori, nonchè in totale spregio delle norme riguardanti la tutela della salute e della sicurezza dei dipendenti sui luoghi di lavoro.
Le vicende giudiziarie, nelle quali sono stati coinvolti alcuni dei più importanti e noti marchi dell’alta moda italiana, hanno acceso un faro sulla necessità per le Società di adottare adeguati Modelli di Organizzazione, in conformità al D.Lgs. 231/2001 ai fini della prevenzione di fattispecie penalmente rilevanti, quale quella di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro.
Infatti il reato punito dall’art. 603 bis c.p. rientra nel novero dei c.d. reati “presupposto” contemplati dal citato D.lgs. 231/2001, il quale ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa degli Enti (persone giuridiche e associazioni anche prive di personalità giuridica), in conseguenza di un fatto-reato, c.d. reato “presupposto”, commesso nell’interesse o a vantaggio dell’Ente medesimo da: a) soggetti c.d. “apicali” i quali, al suo interno, ovvero all’interno di una sua unità organizzativa, dotata di autonomia finanziaria e funzionale, rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, oppure da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e/o il controllo dell’Ente stesso; b) da dipendenti e/o collaboratori sottoposti alla direzione o alla vigilanza dei soggetti “apicali”.
La responsabilità amministrativa dell’Ente, che si aggiunge a quella penale personale dei soggetti che hanno commesso il reato, è esclusa solo nel caso in cui l’Ente stesso abbia adottato i Modelli di Organizzazione idonei a prevenire la realizzazione dei c.d. reati “presupposto” elencati dal D.lgs. 231/2001; abbia garantito la costante vigilanza in merito alla concreta attuazione di tali Modelli ed al loro periodico aggiornamento attraverso un Organismo di Vigilanza (ODV), dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo e, conseguentemente, abbia dimostrato che non vi sia stata un’omessa o insufficiente vigilanza da parte del medesimo ODV.
Pertanto, proprio con specifico riferimento alla prevenzione della commissione del reato di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, può essere opportuna per le Società l’adozione e/o l’implementazione di un adeguato Modello Organizzativo che preveda l’attuazione di un sistema di organizzazione interno finalizzato a contrastare il rischio di condotte di sfruttamento delle prestazioni lavorative, realizzate nell’interesse o a vantaggio dell’Ente; nonché l’adozione di procedure idonee alla verifica delle effettive modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, soprattutto nel caso di una sua esternalizzazione ad aziende terze che contempli, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, un controllo in merito alle capacità tecniche ed organizzative delle imprese appaltatrici e delle reali condizioni lavorative sui luoghi, al fine di prevenire situazioni di sfruttamento.
Si consideri, del resto, che il reato di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro è stato introdotto nel 2011 e, nella sua originaria formulazione, puniva esclusivamente l’attività di intermediazione organizzata, per il reclutamento della manodopera, posta in essere da un soggetto, c.d. caporale, il quale generalmente non faceva parte dell’attività di sfruttamento dei lavoratori e che veniva perpetrata con violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori.
Pertanto, l’effetto paradossale di tale originaria previsione normativa era che non fosse punibile il datore di lavoro e, cioè, l’utilizzatore finale della manodopera illecitamente sfruttata, il quale poteva eventualmente rispondere solo a titolo di concorso nella commissione del reato di intermediazione attuata in forma organizzata.
In concreto la fattispecie penale, così come strutturata, aveva trovato una scarsa applicazione, limitata prevalentemente al contesto del caporalato agricolo, rivelandosi del tutto inidonea ad arginare il triste fenomeno dell’illecito sfruttamento dei lavoratori.
A circa cinque anni di distanza e, precisamente con la Legge 29 ottobre 2016 n. 199 (“Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”) è stato ampliato l’ambito di operatività dell’art. 603 bis c.p. il quale attualmente prevede la responsabilità penale sia del c.d. caporale, che pone in essere l’attività di intermediazione per il reclutamento della manodopera, sia del datore di lavoro, ovvero dell’impresa che utilizza, assume o impiega manodopera, anche (ma non solo) attraverso l'attività di intermediazione del c.d. “caporale”.
In entrambi i casi le condotte devono essere poste in essere in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; mentre la violenza, la minaccia o l’intimidazione, inizialmente elementi costituitivi del reato, ora rappresentano una circostanza aggravante che comporta un aumento di pena.
Inoltre, a differenza di quanto previsto in precedenza, non è più richiesto che l’attività di intermediazione sia organizzata.
La riformulazione del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro operata dal legislatore nel 2016 ha evidentemente avuto importanti riflessi anche in materia di responsabilità amministrativa delle Società prevista dal citato D.lgs. 231/2001, proprio in considerazione del fatto che il delitto punito dall’art. 603 bis c.p. è stato inserito tra c.d. reati “presupposto” del Decreto medesimo.
Infatti tale reato, se commesso nell’interesse o a vantaggio dell’Ente, potrebbe comportare la sua condanna non solo ad una sanzione pecuniaria (da 400 a 1000 quote), ma anche l’applicazione di sanzioni interdittive quali l’interdizione dall'esercizio dell'attività; oppure la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni ritenute funzionali alla commissione dell'illecito; ovvero il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; l’esclusione da agevolazioni o finanziamenti o l’eventuale revoca di quelle già concessi; oppure il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Inoltre, se l’impresa viene utilizzata allo scopo unico o prevalente di consentire e/o agevolare la commissione del reato è prevista per essa l’interdizione definitiva dall’esercizio delle attività.
Senza considerare le eventuali ipotesi di riconoscimento in capo all’Ente di una agevolazione colposa nella perpetrazione della fattispecie delittuosa che comporterebbe, come è accaduto per alcune aziende italiane operanti nel settore dell’alta moda, l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria.
Pertanto, l’adozione e l’attuazione di un idoneo Modello di Organizzazione ai sensi del D.lgs. 231/2001 rappresenta un efficace strumento di governance e di prevenzione del rischio aziendale a tutela delle imprese, al fine di garantire loro una esenzione di responsabilità, con conseguenti benefici per le medesime Società sia in termini economici sia sotto il profilo della credibilità e della reputazione professionale.
Avv. Andrea Orabona e Avv. Alessandra Capalbo
Nomosophy Legal & Tax - Studio Legale