“Cercasi uomini per viaggio rischioso. Paga bassa, freddo glaciale, lunghe ore di completa oscurità. Incolumità e ritorno incerti”
(Annuncio apparso sul Times nel 1914, pubblicato dal comandante Shackleton, volto alla ricerca dell’equipaggio necessario per la spedizione diretta verso quello che restava l’ultimo baluardo dell’esplorazione: la traversata del continente antartico. Risposero in migliaia)
Nel secondo appuntamento (qui la prima parte) continuiamo il percorso di approfondimento con la dimensione della narrazione e del carisma di grandi leader.
Martin Luther King invita a seguire un sogno non un business plan, Steve Jobs a oltrepassare il modo comune di ragionare non ad usare un computer, Shackleton a diventare leggendari non a lavorare per un equipaggio navale.
Costruire una narrazione richiede strumenti che possono essere appresi: per i manager, che si trovano ad affrontare quotidianamente situazioni di cambiamento all’interno del turbolento contesto in cui viviamo, saper costruire storie plausibili e risonanti diventa una competenza necessaria per mantenere coesa l’azione comune. Una narrazione debole o poco credibile, il predominio dei rumors, la percezione di confusione e mancanza di direzione, è quanto di più dispendioso possa crearsi nella gestione di un processo di cambiamento, per lo spreco di tempo e risorse dovuto al rallentamento nell’applicazione dei nuovi comportamenti. E’ in questo ambito che lo storytelling si rivela uno strumento strategico.
Osservando la narrazione che un team, una business unit, un’intera organizzazione, fanno di se stessi, emergono le forze principali che determinano le modalità di agire del gruppo, come succede nell’analisi di una complessa sceneggiatura o di un testo teatrale.
In quest’ottica le indicazioni up-down, che propongono nuove direttive e chiedono cambi d’azione, esprimono la voce di uno dei più importanti protagonisti della storia. Ma queste indicazioni possono essere recepite e messe in atto se inserite nella peculiarità di tutta la complessa rete di personaggi che concorrono a creare la narrazione che anima il team, la BU o l’azienda. Le tecniche narrative permettono di leggere le dinamiche dei personaggi, la complessità del materiale simbolico, di evoluzione della trama e delle sotto-trame, e offrono competenze in grado di guidare, a fianco dei processi organizzativi hard, le operazioni di people side necessarie per condurre consapevolmente la storia e i comportamenti delle persone.
Nel momento in cui si costruisce il patto iniziale con i manager disposti ad avviare l’avventura dello storytelling, la chiarezza è d’obbligo: una narrazione funziona se si accetta la sfida dell’autenticità. E’ necessaria la consapevolezza che solo all’interno di un sistema di relazioni che stimolano l’adultità delle persone (messa in gioco personale, gestione del conflitto, responsabilità come proattività: capacità di dare una risposta propria agli eventi, assumendo il rischio del risultato) si può agire con vigore in realtà fortemente competitive e dinamiche.
Al contrario, viene spesso il dubbio che lo storytelling applicato al people side non sia altro che un espediente manipolativo (e ci sono casi in cui l’applicazione mira esattamente a questo) ma ridurre tecniche narrative a strumenti di influenzamento passivo risulta essere semplicemente inefficace (nei casi migliori) o un boomerang potente (nei casi peggiori) che intacca il fondamento di fiducia delle persone.
L’antidoto alla tentazione della manipolazione sta nella costruzione di un percorso efficace, rivolto principalmente ai manager che vogliano assumere il ruolo di leader nella gestione del cambiamento. Un progetto di storytelling per il change managementè strutturato in tre fasi ed è soprattutto la prima a richiedere particolare attenzione.
Prossima settimana andremo ad analizzare insieme ciascuna delle fasi prendendo consapevolezza del giusto meccanismo operativo che ci aiuta a costruire storie efficaci.
Anna Traini