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26 luglio 2021 Blocco dei licenziamenti 2021: quanto dura e come funziona?
Lumina

Blocco dei licenziamenti 2021: quanto dura e come funziona?

Il divieto di licenziamento in vigore da marzo 2020 è una misura eccezionale d’emergenza voluta dal Governo. Il blocco dei licenziamenti 2021 ha subito diverse proroghe e cambiamenti normativi valide per tutte le imprese.

Cos’è il blocco dei licenziamenti?

Il blocco dei licenziamenti è una misura straordinaria che non conosce precedenti e che nel tempo fin qui trascorso ha conservato le sue caratteristiche originarie quanto a tecniche, finalità e articolazione.

A partire dal primo provvedimento d’urgenza (il Decreto Legge n. 18 del 2020 contenente misure di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), l’Italia ha adottato il “blocco dei licenziamenti”, prorogato di volta in volta, anche se con modalità diverse.

Secondo la formulazione originaria dell’art. 46 del DL 17 marzo 2020, n. 18, il divieto di licenziamento sarebbe dovuto durare per soli 60 giorni ed esplicare, per i licenziamenti collettivi, un effetto retroattivo dal 23 febbraio 2020. Una prima modifica della durata del divieto di licenziamento è intervenuta con l’art. 80, co. 1, lett. a), DL 19 maggio 2020, n. 34 che ha spostato il termine di 60 giorni portandolo a cinque mesi, quindi fino al 17 agosto 2020, lasciando sostanzialmente invariata la disciplina del divieto di licenziamenti.

Con il DL 14 agosto 2020, n. 104 il divieto di licenziamento è stato ulteriormente esteso fino al 31 dicembre 2020.

Divieto di licenziamento per emergenza Covid, fino a quando è valido?

Dopo diverse modifiche e trascorso il 30 giugno 2021 che poneva un generalizzato divieto di licenziamento per la gran parte dei datori di lavoro, oggi i rimanenti termini per la fine del blocco dei licenziamenti sono il 1° novembre e il 1° gennaio 2022. Le imprese intenzionate a ridurre il personale per motivi economici potranno dunque ricadere in una di queste due scadenze.

Fine blocco licenziamenti 2021: cosa cambia dal 1 luglio?

La regola generale poneva il divieto di licenziamento fino al 30 giugno del 2021. Fino a tale data, quindi, restava vietato per tutti i datori di lavoro qualsiasi licenziamento economico e organizzativo, sia individuale, sia collettivo.
Pertanto, a partire dal 1 luglio, le aziende che ricadono nell’ambito applicativo della CIGO posso procedere alle risoluzioni per “motivi economici”.

Il blocco dei licenziamenti si allunga invece fino al 31 ottobre 2021 per i datori di lavoro che rientrano nell’ambito di applicazione dell’assegno ordinario FIS, della cassa integrazione in deroga e della la cassa integrazione per operai agricoli.

Lo sblocco dei licenziamenti prevede alcune limitazioni:

  • i datori di lavoro che utilizzano la CIGO e la CIGS per il periodo 1 luglio – 31 dicembre 2021 non potranno accedere ai licenziamenti economici per il periodo di fruizione dell’ammortizzatore sociale;
  • Un’ulteriore eccezione allo sblocco dei licenziamenti riguarda le imprese che, avendo subito nel primo semestre del 2021 un calo di fatturato del 50% rispetto al primo semestre del 2019, ricorrono al contratto di solidarietà difensivo, al quale si può accedere per 26 settimane nel periodo 26 maggio - 31 dicembre 2021, senza versamento del contributo addizionale;
  • Le imprese del turismo, stabilimenti termali e commercio che richiedano l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, fruibile entro il 31 dicembre 2021, nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021, non possono procedere alle risoluzioni dei rapporti di lavoro fino al 31 dicembre 2021;
  • Per le industrie tessili, di abbigliamento e di pelletteria, identificate con i codici Ateco 13, 14 e 15, alle quali è stata data la possibilità di richiedere ulteriori 17 settimane di Cigo Covid, da fruire nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2021, restano vietati i licenziamenti, sia collettivi che individuali per giustificato motivo oggettivo, sino al 31 ottobre 2021;
  • Per i datori di lavoro che hanno già usufruito degli ammortizzatori sociali previsti dal Dlgs 148/2015 e che richiedano ulteriori 13 settimane di trattamento straordinario di integrazione salariale, sussiste il blocco dei licenziamenti per il periodo di effettiva fruizione dell’ammortizzatore, e comunque fino al 31.12.2021.

Date le note definizioni delle tipologie di licenziamento e della ratio del loro blocco appare agevole individuare i licenziamenti economici quali eventi risolutivi compresi nel divieto: vi sono compresi i licenziamenti collettivi, appunto, e i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. Con la soppressione del posto di lavoro - che costituisce l’ipotesi maggiormente ricorrente di giustificato motivo oggettivo - concorrono, tuttavia, altre ipotesi ad essa assimilate quali il licenziamento per inidoneità fisica o psichica sopravvenuta del lavoratore - e quello per malattia (in violazione dell’art. 2110, comma 2, c.c,) in quanto assimilate - appunto - alla “insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

Licenziamento collettivo 2021: quando sono consentiti i licenziamenti?

La norma sui licenziamenti collettivi prevede nel corso dell’applicazione non solo il divieto del trattamento di integrazione salariale, ma la sospensione di tutte le procedure pendenti nel medesimo periodo, avviate successivamente al 23 febbraio 2020.

Restano ferme le deroghe al divieto di licenziamento che hanno trovato ingresso dopo il Decreto n. 140/2020. Pertanto, sono consentiti i licenziamenti:

  1. nell’ambito del cambio d’appalto, per il personale interessato dal recesso, già impiegato, che deve essere riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto;
  2. licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa (a prescindere dal fatto che vi sia la messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività), nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un suo ramo ai sensi dell'art. 2112 cod. civ.;
  3. con accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, come incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo (ai quali è erogata la NASpI);
  4. licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non è previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa o ne è disposta la cessazione: se l'esercizio provvisorio è disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i recessi riguardanti i settori non compresi in esso.

Divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le novità 2021

Il riferimento esclusivo alle ipotesi non emergenziali di CIGO e CIGS e non più all’emergenza rende chiaro che il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo non si applica:

  1. ai dirigenti;
  2. in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione;
  3. in caso di mancato superamento del periodo di prova;
  4. in caso di licenziamento disciplinare (sia per giusta causa che per giustificato motivo soggettivo). Occorre ricordare che ricorre la giusta causa quando il lavoratore ha tenuto un comportamento che non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro. A differenza del giustificato motivo oggettivo in cui il lavoratore si è reso autore di inadempienze minori rispetto a quanto previsto per la giusta causa);
  5. in caso di licenziamento per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia;
  6. al termine del periodo di apprendistato, in caso di risoluzione dell’apprendista;
  7. in caso di licenziamento di lavoratore domestico;
  8. in caso di licenziamento dell’ex socio di cooperativa di produzione e lavoro, qualora vi sia stata una previa risoluzione del rapporto associativo, secondo le specifiche previste dallo statuto societario e dal regolamento della Coop.

Sono invece ammesse la risoluzione consensuale e le dimissioni da parte del lavoratore.